“…l’onorevole no-global Francesco Caruso, colpito trasversalmente dal linciaggio politico, perché ha definito “assassini” un ex ministro del lavoro e un giuslavorista ucciso dalle brigate rosse, i quali, a suo dire, con le leggi che da loro prendono il nome, avrebbero “armato le mani dei padroni” permettendo la precarizzazione del lavoro, a discapito della qualità del lavoro stesso e delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, con il conseguente aumento degli infortuni e degli “omicidi bianchi” che ultimamente hanno subito un’impennata preoccupante senza che nessuno, al di là dai bla bla di rito, si sia dato da fare per individuare e rimuovere le cause di quelli che rimarranno “delitti senza castigo”. Una frase choc che ha suscitato un’ondata di proteste, per placare le quali, l’onorevole rifondarolo ha deciso di “autosospendersi” dal suo partito. I soliti benpensanti ne hanno chiesto le dimissioni, ma prima sarebbe meglio che, sempre per coerenza, si dimettessero quei “25 parlamentari condannati in via definitiva non per reati di opinione, ma per aver intascato tangenti” i quali parlamentari siedono onorati, riveriti e impuniti nel Parlamento italiano, godendo di privilegi e guarentigie sconosciute ai comuni mortali condannati con sentenze passate in giudicato. Certo, sarebbe stato meglio se l’onorevole Caruso avesse da subito precisato che quelle “leggi hanno fornito le armi” ai mandanti morali, agli esecutori materiali, ai veri assassini degli omicidi bianchi e “cioè agli imprenditori senza scrupoli” che sfruttano i lavoratori e usano quelle leggi per fare profitto, nel nome del capitale. Certo, sarebbe stato meglio se l’onorevole Caruso avesse usato un linguaggio meno crudo, come quello, più diplomatico, utilizzato dal vescovo di Terni per esprimere, in definitiva, lo stesso concetto espresso dal disubbidiente Caruso. Durante l’omelia per la messa celebrata per i funerali di un operaio morto nei giorni scorsi nelle acciaierie di Terni, il prelato ha detto: “Basta con i morti sul lavoro…Tutto ciò non avviene certo per caso, ma è il frutto amaro di una cultura di morte che continua a sacrificare vittime sull’altare del profitto, sul primato assoluto del guadagno”.
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“Non mi sentirei più onesto nel celebrare messa insieme all’assemblea recitando frasi e compiendo gesti in cui credo in modo diverso da come il catechismo ufficiale della chiesa cattolica li propone”. Con queste parole scritte in una lettera indirizzata al vescovo della diocesi di appartenenza, don Dino D’Aloia, anni 38, ormai ex prete di San Severo, Foggia, si è dimesso “dal servizio di sacerdote della chiesa cattolica”. “Ho atteso sette anni – continua a scrivere don Dino – prima di prendere questa decisione. Ora sento che è arrivato il tempo di compiere un passo, importante e dolorosissimo, ma che sia al contempo una scelta chiara che mi liberi dalla indeterminatezza in cui ho vissuto in questi ultimi tempi”. Una “crisi di coscienza” che inizia nel 2000, quando il vescovo di allora, lo consiglia di prendersi un anno sabbatico per ripensare alla sua professione di fede: una “decisione” quella adottata dal vescovo, che impedisce a don Dino di continuare a insegnare religione nel locale liceo e la revoca di altri incarichi pastorali con quel che significa in fatto di mancato stipendio e di altre fonti di reddito. Tra le tesi di don Dino giudicate in antitesi con la dottrina cattolica e il magistero papale, quella che vorrebbe altre religioni storiche “ricche di valore e capaci ognuna di dire qualcosa di unico e di irripetibile della bellezza di Dio e della saggezza umana. Le verità profonde incarnate in Gesù, Budda, Confucio e altri non si escludono a vicenda, bensì si integrano e si completano l’un l’altra.” Inoltre don Dino crede alla possibilità delle seconde nozze “perché – dice – Gesù non ha mai obbligato nessuno a rimanere celibe e che anche la prima comunità cristiana non chiedeva ai presbiteri e ai vescovi di rinunciare al matrimonio.” L’ormai ex prete è anche convinto che “il ministero di guida e di presenza della comunità cristiana spetti di diritto agli uomini quanto alle donne”. “Per diversi anni – scrive ancora - ho approfondito la mia ricerca teologica e spirituale. Ora ho raggiunto delle convinzioni robuste che in diversi ambiti teologici ritenuti centrali dissentono dall’insegnamento ufficiale della chiesa. Io sarei felice di continuare a fare il prete dicendo e vivendo ciò che ho maturato dentro, ma questo non è possibile perché la chiesa cattolica non transige sui dogmi e su alcuni pilastri teologici.” …
Ipse dixit vittorio messori: “Un uomo di chiesa fa del bene e talvolta cade in tentazione? E allora? se fosse così per don pierino gelmini, se ogni tanto avesse toccato qualche ragazzo, ma di questi ragazzi ne avesse salvati migliaia, e allora? Dov’è il problema, sembra quasi chiedersi l’esimio messori che così continua: “La chiesa ha beatificato un prete denunciato a ripetizione perché ai giardini pubblici si mostrava nudo alle mamme…c’è chi non sa fermarsi davanti agli spaghetti all’amatriciana, chi non sa esimersi dal fare il puttaniere e chi, senza averlo cercato ha pulsioni omosessuali. E poi su quali basi la giustizia umana santifica l’omosessualità e demonizza la pedofilia? Chi stabilisce la norma e la soglia d’età?”… La chiesa ha sempre saputo che seminari e monasteri attirano omosessuali. Prima era molto attenta a porre barriere all’ingresso e a sorvegliare la formazione. Chi dimostrava tendenze gay veniva messo fuori. Poi il no alla discriminazione ha permesso l’ingresso in forze degli omosessuali e ora la chiesa paga quell’imprudenza”. Ad una domanda su don gelmini definito “santo” dai suoi sostenitori, l’impareggiabile vittorio messori così risponde: “Non entro nel caso giudiziario, però è indubbio che nella storia della chiesa una sessualità disordinata ha potuto convivere agevolmente con la santità…Il fondatore di molte istituzioni caritative in Europa è stato proclamato “beato” nonostante le turbe sessuali che per un istinto incoercibile lo spingevano a compiere atti osceni in luogo pubblico”. E, di seguito…”I preti di Torino sono finiti nella rete dell’estorsione perché si è inventato il concetto ipocrita di pedofilia. Così un ricattatore senza arte né parte, campa con la minaccia di far esplodere uno scandalo. Una volta ricattano i notai con l’amante, oggi la categoria più esposta è il prete gay”. … “ Negli Usa gli avvocati mettono cartelli per strada: “Vuoi diventare milionario? Manda tuo figlio un anno in seminario e poi passa da noi”. Le diocesi sono facilmente ricattabili, preferiscono pagare, anche se innocenti. Temono un danno d’immagine. E l’inquinamento riguarda anche noi. Il politicamente corretto sta prendendo piede anche nel cattolicesimo italiano. E i risultati si vedono, purtroppo”. |